Questa novella di scarso (per me) valore letterario, tratta da "Le cene" di Anton Francesco Grazzini detto il Lasca (1503-1584), e cofondatore dell'Accademia della Crusca, merita di essere qui inserita e segnalata in quanto testimonianza che noi, piccolo popolo di San Felice a Ema, nel XVI secolo, eravamo comunque onorati di citazione, meglio dire in questo caso "onerati" per via di quel bischero di ser Agostino.

Buona lettura a chi si vuole cimentare.

 

Come voi dovete sapere, usanza è stata sempre mai nel nostro contado che i preti della villa, quando per avventura è la festa alla lor Chiesa invitano tutti i preti loro vicini; per lo che avendo il prete del Portico, tra l'altre una volta la festa, tutti i preti da lui chiamati vi concorsero; tra i quali vi fu un ser Agostino che ofiziava a San Felice a Ema, poco indi lontana. Il quale, mentre che la messa grande solennemente si cantava vide per sorte nella chiesa una bella giovine e manierosa; e domandato livi intorno che ella fosse gli fu risposto esser quindi popolana; e perchè ella gli andava molto per la fantasia, poco ad altro, fuor che a mirarla e vagheggiarla attese la mattina. Avvenne poi che detto l’ uffizio e fornite le messe, tutte le persone, di chiesa partitesi, se ne andarono a desinare e cosi fecero i preti. In sul vespro poi ser Agostino uscendo cosi fuori in su la strada per via di diporto vide per buona ventura in sul suo uscio sedersi la giovane che veduto la mattina in chiesa aveva, la quale si faceva chiamar Mea, moglie di un muratore che in compagnia dell’altre donne vicine si stava al fresco e a motteggiare. Per la qual cosa chiamato il prete della chiesa, lo prese a domandar di lei e della sua condizione; il quale gli rispose esser tutta piacevole e buona compagna eccetto che coi preti; i quali, che che se ne fosse la cagione, aveva più in odio che il mal del capo, e non voleva, non che far lor piacere, ma pur sentirli ricordare. Gran meraviglia se ne fece ser Agostino e fra sè dispose di caricargliene a ogni modo dicendo seco medesimo: io so che tu ci hai a lasciar la pelle, voglia tu o no. E perchè ella non avesse cagione di conoscerlo per prete, se gli levò, benchè malvolentieri, d’intorno; ma di lontano la riguardava pure sottecchi che non pareva suo fatto; e quanto più la mirava, tanto più gli cresceva il disiderio di possederla. In questo mentre ne venne il Vespro, e di poi la Compieta che la Mea non entrò mai in chiesa, tanto che fornito gli ufizi e la festa, ser Agostino, fatto colezione grossamente con gli altri preti, prese licenza, e tornossene a San Felice a Ema, dove non faceva altro mai che pensare alla sua innamorata ed il modo che tener dovesse, per poterle favellare, che non fosse da lei per prete conosciuto, e poscia cercare di venire agli attenti suoi. E perchè egli era scaltro e maliziosetto gli cadde nell'animo di tentare una via da dovergli agevolmente riuscire, per contentare i desideri suoi; ed un lunedì in su le ventun’ora, travestitosi a guisa di un villano, sparpagliatosi la barba con una cuffia bianca e un cappelletto di paglia in testa preso un bello e grasso papero in collo, nascosamente si parti di casa, e per tragetti se ne venne alla strada, poco di sopra al Portico; e preso la via verso Firenze se ne veniva adagio adagio, fermandosi a ogni passo tanto che di lontano vide la Mea in su l’uscio sedersi e nettare la insalata; onde affrettando il cammino, se le fermò al dirimpetto, guardandola cosi alla semplice; perchè la Mea, veduto questo gonzo cosi fiso rimirarla lo domandò se quel papero, che egli aveva in braccio, si vendeva. Non si vende, rispose il prete. Donamelo dunque disse la donna che era favellante. Questo si potrebbe fare, rispose ser Agostino: entriamo in casa e saremo d’accordo. La Mea ch' era di buona cucina aocchiato        quel paperone ch’era grosso e bianco, alla bella prima si rizzò coll’insalata in grembo e mise colui dentro, e serrò l’ uscio. Come il prete si vide in terreno e l’ uscio serrato, disse alla Mea: udite madonna: questo papero che voi vedete si bianco e bello io lo portava all’oste; pure a voi non si può negare, se voi mi darete delle cose vostre; e nella fine rimasero insieme, che ella gliene desse una abbracciatura e che il papero fosse suo; e cosi la Mea parendole un cotal sollucherone cresciuto innanzi al tempo, se lo cacciò sotto, e fornito che gli ebbero ambeduoi la danza, si levò su la donna, e disse a colui: tu te ne puoi andare a tua posta che il papero è mio. Il mal prete rispose: no no voi noll’avete guadagnato ancora; perciocchè quello che io doveva aver da voi, avete voi avuto da me poichè stando di sopra, sete stato voi l’ uomo, e io la donna trovandomi di sotto ed essere stato cavalcato. La Mea fece bocca da ridere e disse: io ti ho inteso; e perchè il Sere l’era riuscito meglio che di parata, sendo giovane ancora grande della persona e morbido, se lo tirò volentieri addosso ; si che fornito la seconda ballata, pose le mani ser Agostino di fatto in sul papero e disse alla donna: Mona voi ancor vi bisogna se voi lo volete star sotto un’ altra volta, perchè questa d’ora sconta quella di prima, e semo appunto pagati e del pari: a quest’altra volta, si bene che voi arete e giustamente guadagnato il papero.

La Mea, che per infino allora se ne era riso e recatoselo in burla, se questa cosa le parve strana non è da domandarne; e voltatasegli con un mal viso disse: non ti vergogni tu, villan tirchio‘i che pensi tu aver trovato qualche femmina di partito? ribaldone egli ti debbe piacer l’ unto: dallo qua e vatti con Dio. E volevagnene strappare di mano; ma il prete lo teneva forte; e accostatosi all’ uscio, lo aperse, e voleva fuggirsene se non che colei se gli parò innanzi, e cominciò a dirgli villania, e colui a risponderle. In questo accadde appunto che fuori d’ogni sua usanza giunse quivi il marito della Mea e sentendogli quistionare dato una spinta all’uscio entrò in casa, e veggendo la moglie con quel contadino alle mani, disse: che diavol gridi tu Mea? che domine hai tu che fare con cotesto villano? A cui, senza aspettare altro,‘ri spose subito ser Agostino, e disse: sappiate, uomo dabbene, che io mercatai con questa donna trenta soldi questo papero, e di tanto restammo d’accordo nella via: ora ella qui in casa, me ne vorrebbe dar diciotto. Tu menti per la gola soggiunse la Mea; e parendole ottimo modo a ricoprire il suo fallo col marito, seguitò dicendo: io te ne voleva pur dare venti, e cosi facemmo i patti. E io dico trenta, rispose il prete. Per la qual cosa il marito di lei disse: deh, Mea lascialo andare in mal’ora! tu diresti pari, ed egli caffo, e non verreste mai a conclusione: hai tu paura che t’ abbiano a man carei paperi? Vadasene col mal an che Dome nedio gli dia, soggiunse la Mea; che egli non troverà mai più chi faccia quel che gli ho fatt’io. Il prete, partendosi di casa, disse: e tu  non troverai mai più altri, che abbia si grasso e si grosso papero; e allegro fuor di modo se ne tornò a casa, che da persona non fu conosciuto. Il marito, non avendo bene inteso le parole della Mea, le disse: e che gli hai tu fatto però? egli era più presso al dovere di te e se egli lo porta in Firenze, ne caverà de’ soldi più di quaranta. E cosi tolto di casa quel che gli bisognava, se ne tornò a lavorare, e la Mea a nettar l’ insalata piena tutta di stizza e di dolore che da un villano a quel modo fosse stata beffata.

Passarono intanto otto o diece di, che ser Agestino pensando alla sua Mea, che gli era riuscita meglio che pensato non s’aveva si dispose di tornare a visitarla, e veder se egli potesse colpir seco di nuovo, ma non come prima a macca; anzi pentito al tutto di quel che fatto aveva, in quel modo medesimo vestito da contadino, tolse il papero stesso e un paio di buoni e grassi capponi, con animo di darle l'uno per lo benefizio ricevuto, e gli altri per quello che egli sperava di ricevere, e far seco la pace. E cosi un giorno in sull'ora medesima sfuggiascamente se ne venne alla strada per la via del Galluzzo, e cosi in verso Firenze pianamente camminando appoco appoco si condusse al Portico; e quindi dalla casa della sua Mea passando, la vide per buona sorte appunto alla finestra; ed ella lui, e conobbelo subito e al papero e ai capponi si avvisò troppo bene dello animo suo. Per la qual cosa dispostasi alla vendetta veggendo che da lui era guardata, rise e accennollo cosi colla mano, e levossi’n un tratto dalla finestra, e a un suo amante che per ventura aveva in casa, e che pure allora s’era stato un pezzo seco, disse quello che far dovesse; e con esso lui sceso la scala, e nascosolo nella volta se ne venne, e aperse l’uscio. Il prete era già comparito, e      postosi al dirimpetto; sicchè a prima giunta salutò la Mea, e disse: io son venuto a portarvi il vostro papero, e questi capponi ancora, se voi gli vorrete. La donna ghignando gli rispose: tu sii il molto ben venuto, passa drento col buon anno che io mi sono meravigliata che tu abbi penato tanto a tornarmi a vedere. Ser Agostino entrò in casa allegrissimo; e la Mea di fatto serrò la porta, e presolo per la mano, non come l’altra volta a basso ma su in camera lo menò; dove postisi a sedere, il prete per sua scusa cosi prese a dire. Egli è vero, buona donna, che l’ altra volta che io ci fui, con esso voi mi portai un poco alla salvatica e quasi villanamente ma se colui non sopravveniva, io vi la sciava il papero senza fallo alcuno; ma pensando ch’esser dovesse vostro marito, com’esser doveva feci cosi per lo meglio, che mi parve assai buono spediente per l’ onor vostro e per la salute mia. Ma ora son tornato a fare il debito mio: eccovi innanzi tratto il papero: ed i capponi saranno anche vostri, perch'io ho disegnato che noi siamo amici, e tuttavia vi arrecherò quando una cosa e quando un’ altra. lo ho dei pippioni, delle pollastre, del cacio, de’ capretti; e sempremai, secondo le stagioni, vi verrò a visitare colle man piene.
Rise la Mea e rispose dicendo: io non credo che più alla sua vita ci tornasse quello sciatto di mio marito a quella otta; ma vedi, che tu mi facesti montar la luna, di maniera che io t’arei manicato senza sale. E questo detto, prese il papero e i capponi, che il prete le lasciò volentieri, usando che ella si fosse rappacificata, e messegli ’n uno armadio, dicendo: or ora fo ciò che tu vuoi. Ma in quella che ella tornava a lui , fatto non so che cenno, sentirono battere l’uscio rovinosamente; perciocchè colui, uscendo d’aguato, aveva aperto l’uscio pian piano, e di fuori trovandosi, picchiava a più potere; per lo che la donna, fattasi alla finestra, e tirata la testa prestamente a sè, disse quasi piangendo: io ‘ son morta: ohimè, che questo è un mio fratello, il più disperato e crudele uomo che sia nel mondo. E volta a ser Agostino, disse: entra tosto in questa camera, che guai a te e me, se ti vedesse meco; e in un tratto fece la vista di tirar la corda, e spinse il prete nella camera, e, messo nell’uscio di quella un chiavistellino , si fece in capo di scala , dicendo forte, acciocchè colui intendesse: ben sia venuto per mille volte il mio carissimo fratello. Colui, ammaestrato, cosi rispose con voce alta e minacciante: e tu per cento mila sii la mal trovata. Vedi che io t’ho pur giunta questo tratto, che tu pensavi che io fossi mille miglia lontano. Dove è, malvagia femmina, quel traditore del tuo amante che ardisce di fare alla casa nostra tanto disonore? dove è egli, ribalda, che io voglio ammazzar te e lui? La Mea, piangendo e gridando, diceva: fratel mio , misericordia: io non ho persona in casa. Si, hai bene, seguitò colui, io lo troverò ben io. E sendo famiglio del podestà del Galluzzo, aveva cavato fuori la spada , e arrotavala su per lo ammattonato , soffiando e sbuffando tuttavia.

Per la qual cosa venne a ser Agostino in un subito tanta paura, che egli fu per venirsi meno; perciocchè la Mea piangendo e raccomandandosi, e colui bestemmiando e minacciando la , fingevano troppo bene; ma nella fine colui, dato un calcio nell’uscio della camera, disse gridando: apri qua, che io vo’ veder chi ci è, e passarlo fuor fuori con questa spada. Il prete, sentito dimenar l’uscio, e udite le colui parole, non stette a dir che ci è dato; ma parendogli tuttavia sentir passarsi di banda a banda , si gittò da una finestra, alta forse venti braccia, che dietro alla casa riusciva sopra una vigna , e poco mancò ch’ei non rimanesse infilzato sopra un palo; pure dette in terra, ma di sorte, che si ruppe un ginocchio, e sconciossi un piè malamente. Pure tanta fu la paura che egli si stette cheto come l'olio; e non si reggendo in su le gambe carponi se ne andò tra vite e vite, tanto che più d’una balestrata si discostò dalla casa. Come coloro sentirono il romore del salto, subito apersono la camera; ed entrati dentro, e veduto la fine, non cercarono più oltre ma cascarono ambedue nelle maggiori risa del mondo e andaronsene a vedere il papero e i capponi ch’erano buoni e grassi; e la Mea non ca piva nelle quoia per l’ allegrezza, parendole essersi vendicata a misura di carboni.
E sia certo ognuno che non è cosa nel mondo che tanto piaccia e contenti, quanto la vendetta e massimamente alle donne. Il misero ser Agostino carpon carponi doloroso e tremante tanto adoperò, che si condusse alla strada, e nascose stette per infino alla sera tanto che per avventura vide passare il mugnaio che macinava alla pescaia d’Ema, suo amico vicino; il quale chiamato con bassa voce, e datoseli a conoscere pregò che sopra un mulo lo mettesse e a casa ne lo portasse. Il mugnaio, meravigliandosi, senza voler altrimenti intender la cagione, come quivi a quell’otta, e in qual modo si fosse condotto sopra un mulo lo pose; e increscendogliene fuor di modo, a casa sua lo condusse; e come il prete lo pregò, non disse mai niente a persona. Ser Agostino alla fante e alla madre poi trovò certa sua scusa dello essere uscito a quella foggia travestito, e cosi della rottura del ginocchio e della isvoltura del piede, che n’ebbe assai parecchie e parecchie settimane; e al mugnaio ancora fece credere certa sua invenzione; talchè di molto tempo stette la cosa che non si seppe e non si sarebbe saputa mai, se non che ser Agostino, già vecchio, morto la Mea e il marito, la disse più volte, e la raccontava per via di favola.